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Basilisco: tra mito e realtà

Tratto dal n°4 di settembre 2003 di © MAG, magazine di costume e tempo libero,
scritto da Massimo Cerutti,
per gentile concessione della redazione di IDEARTI communication factory
e del Sig. Gautier M.Zanchi
 

  

  

  

Tra gli animali immaginari che ricorrono nel mito e nella memoria collettiva il Basilisco senza dubbio è quello presente su tutto l’arco alpino e più generalmente in Europa; il termine è traduzione dell’ebraico Sephà ed indica un serpente terribile e velenoso carico di significati simbolici. Si dice che il suo contatto e il suo alito uccidano piccoli alberi, l’erba bruci, cadano morti gli uccelli e imputridiscano i frutti. Scrive Pietro il Piccardo, in età medioevale, che il Basilisco altri non era che il diavolo. Molte cattedrali romaniche e gotiche lo rappresentano simbolicamente come il peccato (la lussuria: la sifilide che si diffuse nel XV secolo fu denominata morbo del Basilisco) e il demonio. Nelle piazze e nelle fiere del XVI e XVII secolo i ciarlatani usavano fabbricare piccoli mostri con pescecani o razze e con questi sbarcavano il lunario. Visto con l’occhio della modernità, esso rappresenta l’inconscio terribile e mostruoso per chi lo ignora e non lo riconosce, fino al punto di disintegrarne la personalità; così come il mostro è distrutto dalla sua immagine riflessa dallo specchio ognuno di noi deve riconoscere il proprio lato oscuro e saperlo accettare. La Bestia simboleggia il male e le forze demoniache che solo l’eroe-Titano affronta: l’io non può vincere prima di aver conosciuto e fatta propria l’Ombra.
 
   

Dopo questa dissertazione veniamo a noi e ai nostri luoghi: intorno al 1990 due escursionisti raccolgono all'alpe Lusentino delle strane ossa, la ricostruzione sommaria porta ad un animale sconosciuto della lunghezza di circa 70 cm apparentemente rettile o sauro. Nel 1991 il Sig. Giuseppe Costale, raccogliendo funghi, rimane allibito di fronte ad una bestia inclassificabile: lunga circa 70 cm si muoveva zigzagando, aveva fianchi grigio chiaro e il dorso più scuro; il muso piatto era fornito di una cresta, gli occhi e lo sguardo inquietanti….nello stesso luogo trovò ossa che avevano le stesse caratteristiche di quelle rinvenute nel 1990. I resti sono stati mostrati agli specialisti della Facoltà di Medicina Veterinaria dell'Università di Milano e al Museo di Scienze Naturali e i risultati della ricerca non hanno dato, per ora, una valutazione esaustiva.
 
 

 

Sembra che le Valli ossolane siano habitat privilegiato dei nostri inquietanti mostriciattoli, lo testimoniano il “Sarpent de la cestra” dal mostro pericoloso e dallo sguardo ipnotico di Folsogno; il “Sarpent dagli ugiài” di Dissimo, pericoloso per le gestanti; il “Sarpent Gatt” di Albogno dagli strani tratti felini. Ma non basta….le maniglie in ferro battuto di antichi portoni, le grondaie in rame di molte abitazioni richiamano il mitico animale, il che ce la dice lunga su quanto esso abbia radici profonde nella memoria locale: un mito non nasce casualmente….Nel mese di maggio u.s. a Casale Corte Cerro si è tenuto un convegno dal titolo: “Da San Giulio a San Giorgio draghi e basilischi dalle Alpi alla Cina” in cui storici, archeologi e artisti hanno dibattuto e rappresentato il mitico animale ovvero “il lato oscuro” che è in noi.
 
 
 
 

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